L’ingegnere Thundeblatt
L’ingegnere Tundeblatt era un uomo grasso e di carnagione
molto chiara con efelidi. Ma quando si arrabbiava e andava
in confusione diventava rosa come un maialetto.
Lavorava nella Belzebù Corporation, Divisione Prodotti Alimentari.
La sua specializzazione era quella della progettazione
di impianti. Ma questo era vero solo sulla carta in quanto le sue mansioni nella ditta erano alquanto più umili.
Per questo motivo da anni si rodeva il fegato.
L’ing. Thundeblatt era rimasto conquistato dalle teorie di
ascendenza nipponica della “Qualità Totale” benché lui fosse
di Dusseldorf. L’ingegnere sognava macchine bellissime
“ad eliminazione umana” perfette ed autoregolate, congegni
accuratamente programmati per produrre merci perfettamente
identiche con il minimo costo umano. Merci perfettamente
omologate e normali come i clienti che le avrebbero acquistate.
Ma il progetto più ambizioso al quale lavorava da anni era
quello del salumificio “Paradise”: una serie di automi che
avrebbero trasformato la materia prima, cioè i maiali,
in carne perfettamente conservata in scatole dalla elegante etichetta,
eliminando completamente il fattore lavoro anche a livello
di “controllo” sul ciclo produttivo.
Partendo dai maiali vivi fino all’apposizione sulla scatola
di carne finemente macinata dell’etichetta
“Belzebù Corporation - se mi vuoi mangiami”, vera ciliegina sulla torta,
un processo produttivo perfetto.
L’ing.Thundeblatt non era l’uomo più fortunato di questo
mondo. E non era un adone. Le donne lo evitavano accuratamente
come se fosse infettivo. La sua faccia larga e carnosa con gli occhi
piccoli e orecchie corte a punta ricordavano molto quella del
maiale. I suoi genitori erano morti insieme in un incidente
stradale alcuni gioni dopo l’esame di laurea del figlio.
La vita di Thundeblatt era stata una successione di guai
ma la cosa che lo faceva soffrire di piu’ era il fatto che non
era riuscito a fare carriera anche se ce l’aveva messa tutta.
Forse per questa ragione segreta si era infervorato
ed appassionato come per crisi mistica alla “Teoria dellaQualità Totale” per riscattarsi dalle sue miserie personali.
Un giorno prese coraggio e relazionò il suo capo sul suo progetto.
“Va bene, stia tranquillo, quando sarà il momento
prenderemo in considerazione anche il suo progetto!” gli
disse con un mezzo sorriso l’ing. Fuckermann, suo superiore
diretto. ”Deve avere pazienza, abbiamo altre gatte da pelare”.
E ripose nell’ultimo cassetto della sua scrivania la cartella
del suo sottoposto Thundeblatt contenente i disegni
dell’impianto e dei relativi costi.
L’ingegner Fuckermann aveva una faccia da topo con due
baffetti nerissimi ai quali dava la tinta ogni mattina prima
di recarsi in ufficio ad occupare il suo posto dietro la bella
scrivania di noce. I suoi impiegati lo indicavano, quando erano
ben sicuri di non essere sentiti, come “papà Hitler”.
Purtroppo l’ing. Fuckermann non era la persona giusta per
far marciare il progetto di Thundeblatt.
Infatti dietro l’apparenza di persona sicura e autoritaria
si annidava una insicurezza tremenda, la paura di fare passi
falsi e sbagli che potevano compromettere la sua carriera di
burocrate. In particolare temeva quel pescecane
dell’amministratore delegato con i suoi modi rozzi e spicci.
Passavano i giorni, le settimane, i mesi, gli anni e Thundeblatt
si sentiva sempre più avvilito in quanto la sua idea non
trovava ascolto.Tutto solo nel suo trilocale,al ritorno
dall’ufficio, cenava alla sera, si abbuffava e beveva smodatamente
per annegare la sua disperazione, tanto che gli venne il doppio
mento ed il pancione e non aveva più il coraggio di guardarsi allo
specchio. "Un maiale!Un maiale!Hanno fatto di me un maiale!”
gridava davanti alla sua immagine riflessa dallo specchio del
bagno. Poi prendeva in mano la sua copia del suo progetto
“Salumificio Paradise” ed apportava qualche ritocco ai disegni,
alla scelta dei materiali per rendere sempre più perfetto
ed economico il progetto.
Finalmente una sera reagì alla mortificazione ed alla malinconia
e prese una decisione irrevocabile e disperata. Avrebbe chiesto un
prestito alla banca, camuffandolo come prestito per la casa ed avrebbe
iniziato a costruire la sua “macchina perfetta”.
C’era un terreno incolto davanti a casa sua. Riuscì ad affittarlo
e fece costruire in economia un capannone stretto e lungo.
Giorno dopo giorno, lavorò dopo le ore di ufficio al suo progetto
utilizzando anche materiali della ditta sottratte dal magazzino con
false bolle di consegna. Utilizzò per portare a termine il lavoro
anche il periodo delle ferie, rinunciando agli svaghi balneari a
Sharm el Sheik. In capo ad un lavoro indefesso che gli succhiava
tutte le energie ed anche il cervello, alla fine di un anno di lavoro,
due mesi e sedici giorni l’impianto fu completato.
L’ing. Thundeblatt, ormai incanutito ed avvizzito si sentì fuori di sé
per la gioia. Si mise a ballare in salotto come un orso ed urlò:
“Quasi ci siamo!” Si scolò una bottiglia di Don Perignon.
Non era mai stato così brillo e felice.
Il mattino dopo Thundeblatt chiese di essere ricevuto dall’ing.
Fuckermann e dopo un quarto d’ora d’attesa venne ricevuto.
Senza troppi preamboli chiese al suo capo se poteva venire a
prendere un the a casa sua. ”Devo mostrarle una cosa!"
proruppe orgogliosamente Thundeblatt “Il mio progetto è
finalmente realizzato, la qualità totale non è più una Utopia!”
L’ing.Fuckermann, dopo qualche riluttanza, accettò l’invito.
Considerava Thundeblatt un po’ matto ma anche un entusiasta
legato all’azienda da una devozione un po’ canina.
“Ma funziona?” chiese Fuckermann a Thundeblatt quando venne
tolto il telo che copriva la Macchina.
Thundeblatt arrossì morsicandosi le labbra. ”Penso di sì” rispose,
“ma è in grado per ora di lavorare solo centoventi chili di carne per volta!”
Un lampo malizioso negli occhi di Fuckermann precedette la sua ulteriore obiezione
”Ma lei Thundeblatt sa che la Belzebu’ Corporation
è interessata ad un progetto di impianto capace di lavorare migliaia di
chili di carne suina?” “E i calcoli dei costi li ha fatti?”
Thundeblatt incominciò ad impappinarsi ed a tartagliare mentre si
giustificava. Il colletto gli stringeva il collo grosso come una corda
quello dell’impiccato, la sua faccia divenne rubiconda.
“Ho tentato” farfugliò ”di fare proiezioni calcolando le economie
di scala”. Fuckermann lo vide così agitato e paonazzo e temette un infarto
o un attacco di follia. ”Caro Thundeblatt” lo rassicurò, tirando fuori il
suo tono paterno “Non si preoccupi, mi dia qualche dato in più per
farmi capire se è un progetto redditizio. Lei sa, anch’io ho le mani legate.
Comunque apprezzo molto la sua perseveranza, le assicuro da parte mia
che il suo impegno verrà riconosciuto e premiato”.
“Tenga conto” gli disse Thundeblatt interrompendolo “che la mia macchina,
una volta caricata e programmata elimina completamente
il personale, un uomo solo basta a farla funzionare solo premendo un
tasto”. Fuckermann sorrise mellifluo, si accarezzò i baffetti e gli disse:
“Caro Thundeblatt ripassi da me quando potrà fornirmi calcoli economici
più precisi per valutare la redditività dell’impianto”.
Thundeblatt sentì una morsa di gelo e di disperazione mordergli
il cuore e pallido come un cadavere disse: ”Va bene, tornerò da lei
tra una settimana”. Fuckermann gli strinse la mano con fare indifferente
e si accomiatò da lui sulla soglia sussurrandogli: ”Si faccia coraggio”.
Il povero Thundeblatt rientrò nel suo salotto e si accasciò sulla
poltrona. Si versò un bicchiere di wiskey, poi ne bevve un secondo
e cadde sfinito in un sonno profondo. Russava fragorosamente,
di tanto in tanto sussultava, all’improvviso, farfugliava parole a scatti, come se
stesse litigando con un’altra persona. Se qualcuno fosse rimasto
ad ascoltarlo mentre articolava parole confuse avrebbe forse decifrato
alcune espressioni come “farabutti”, ”salumificio”, ”maledetto”,
parola forse rivolta contro l’ingegnere Fuckermann.
Si svegliò alle quattro del mattino col cerchio di ferro alla testa e
disturbi gastrointestinali. Si lavò la faccia ed andò a guardare
alla finestra il cielo che si schiariva lentamente.
Un altro giorno era cominciato. Thundeblatt si rese conto che non
sarebbe sopravvissuto a quel giorno. La sua ascesi,
la sua fede nella “Qualità Totale” esigeva da lui una decisione estrema e disperata.
Si sarebbe offerto come materia prima per dimostrare la efficacia
della sua macchina “a eliminazione umana” e si sarebbe trasformato
in merce. Telefonò a Fuckermann. Gli rispose la segreteria telefonica.
Con parole laconiche lasciò un messaggio: ”Ingegner Fuckermann,
vi do oggi stesso la dimostrazione dell’eccellenza della mia invenzione.
Il principio della Qualita’ Totale è salvo. Venite a casa mia
a verificare la bonta’ del prodotto. Non mi troverete
personalmente, ma avrete comunque un buon ricordo del sottoscritto.”
Detto fatto andò al computer e programmò il processo per le
dodici e mezza.
Si sbarbò, si lavò e si profumò col dopobarba.
Salì nel carrello tutto nudo e diede il via schiacciando un pulsante.
“Un prodotto perfetto” esclamò Fuckermann nella riunione
dei managers della Belzebù Corporation e fece girare come una trottola
la scatola di carne di maiale. ”Thundeblatt è stato un pioniere.
Lo ricorderemo tutti con molto rimpianto e con grande gratitudine.”
Ed agiunse con un sorriso sornione: ”E non abbiamo speso nulla per il brevetto.”
molto chiara con efelidi. Ma quando si arrabbiava e andava
in confusione diventava rosa come un maialetto.
Lavorava nella Belzebù Corporation, Divisione Prodotti Alimentari.
La sua specializzazione era quella della progettazione
di impianti. Ma questo era vero solo sulla carta in quanto le sue mansioni nella ditta erano alquanto più umili.
Per questo motivo da anni si rodeva il fegato.
L’ing. Thundeblatt era rimasto conquistato dalle teorie di
ascendenza nipponica della “Qualità Totale” benché lui fosse
di Dusseldorf. L’ingegnere sognava macchine bellissime
“ad eliminazione umana” perfette ed autoregolate, congegni
accuratamente programmati per produrre merci perfettamente
identiche con il minimo costo umano. Merci perfettamente
omologate e normali come i clienti che le avrebbero acquistate.
Ma il progetto più ambizioso al quale lavorava da anni era
quello del salumificio “Paradise”: una serie di automi che
avrebbero trasformato la materia prima, cioè i maiali,
in carne perfettamente conservata in scatole dalla elegante etichetta,
eliminando completamente il fattore lavoro anche a livello
di “controllo” sul ciclo produttivo.
Partendo dai maiali vivi fino all’apposizione sulla scatola
di carne finemente macinata dell’etichetta
“Belzebù Corporation - se mi vuoi mangiami”, vera ciliegina sulla torta,
un processo produttivo perfetto.
L’ing.Thundeblatt non era l’uomo più fortunato di questo
mondo. E non era un adone. Le donne lo evitavano accuratamente
come se fosse infettivo. La sua faccia larga e carnosa con gli occhi
piccoli e orecchie corte a punta ricordavano molto quella del
maiale. I suoi genitori erano morti insieme in un incidente
stradale alcuni gioni dopo l’esame di laurea del figlio.
La vita di Thundeblatt era stata una successione di guai
ma la cosa che lo faceva soffrire di piu’ era il fatto che non
era riuscito a fare carriera anche se ce l’aveva messa tutta.
Forse per questa ragione segreta si era infervorato
ed appassionato come per crisi mistica alla “Teoria dellaQualità Totale” per riscattarsi dalle sue miserie personali.
Un giorno prese coraggio e relazionò il suo capo sul suo progetto.
“Va bene, stia tranquillo, quando sarà il momento
prenderemo in considerazione anche il suo progetto!” gli
disse con un mezzo sorriso l’ing. Fuckermann, suo superiore
diretto. ”Deve avere pazienza, abbiamo altre gatte da pelare”.
E ripose nell’ultimo cassetto della sua scrivania la cartella
del suo sottoposto Thundeblatt contenente i disegni
dell’impianto e dei relativi costi.
L’ingegner Fuckermann aveva una faccia da topo con due
baffetti nerissimi ai quali dava la tinta ogni mattina prima
di recarsi in ufficio ad occupare il suo posto dietro la bella
scrivania di noce. I suoi impiegati lo indicavano, quando erano
ben sicuri di non essere sentiti, come “papà Hitler”.
Purtroppo l’ing. Fuckermann non era la persona giusta per
far marciare il progetto di Thundeblatt.
Infatti dietro l’apparenza di persona sicura e autoritaria
si annidava una insicurezza tremenda, la paura di fare passi
falsi e sbagli che potevano compromettere la sua carriera di
burocrate. In particolare temeva quel pescecane
dell’amministratore delegato con i suoi modi rozzi e spicci.
Passavano i giorni, le settimane, i mesi, gli anni e Thundeblatt
si sentiva sempre più avvilito in quanto la sua idea non
trovava ascolto.Tutto solo nel suo trilocale,al ritorno
dall’ufficio, cenava alla sera, si abbuffava e beveva smodatamente
per annegare la sua disperazione, tanto che gli venne il doppio
mento ed il pancione e non aveva più il coraggio di guardarsi allo
specchio. "Un maiale!Un maiale!Hanno fatto di me un maiale!”
gridava davanti alla sua immagine riflessa dallo specchio del
bagno. Poi prendeva in mano la sua copia del suo progetto
“Salumificio Paradise” ed apportava qualche ritocco ai disegni,
alla scelta dei materiali per rendere sempre più perfetto
ed economico il progetto.
Finalmente una sera reagì alla mortificazione ed alla malinconia
e prese una decisione irrevocabile e disperata. Avrebbe chiesto un
prestito alla banca, camuffandolo come prestito per la casa ed avrebbe
iniziato a costruire la sua “macchina perfetta”.
C’era un terreno incolto davanti a casa sua. Riuscì ad affittarlo
e fece costruire in economia un capannone stretto e lungo.
Giorno dopo giorno, lavorò dopo le ore di ufficio al suo progetto
utilizzando anche materiali della ditta sottratte dal magazzino con
false bolle di consegna. Utilizzò per portare a termine il lavoro
anche il periodo delle ferie, rinunciando agli svaghi balneari a
Sharm el Sheik. In capo ad un lavoro indefesso che gli succhiava
tutte le energie ed anche il cervello, alla fine di un anno di lavoro,
due mesi e sedici giorni l’impianto fu completato.
L’ing. Thundeblatt, ormai incanutito ed avvizzito si sentì fuori di sé
per la gioia. Si mise a ballare in salotto come un orso ed urlò:
“Quasi ci siamo!” Si scolò una bottiglia di Don Perignon.
Non era mai stato così brillo e felice.
Il mattino dopo Thundeblatt chiese di essere ricevuto dall’ing.
Fuckermann e dopo un quarto d’ora d’attesa venne ricevuto.
Senza troppi preamboli chiese al suo capo se poteva venire a
prendere un the a casa sua. ”Devo mostrarle una cosa!"
proruppe orgogliosamente Thundeblatt “Il mio progetto è
finalmente realizzato, la qualità totale non è più una Utopia!”
L’ing.Fuckermann, dopo qualche riluttanza, accettò l’invito.
Considerava Thundeblatt un po’ matto ma anche un entusiasta
legato all’azienda da una devozione un po’ canina.
“Ma funziona?” chiese Fuckermann a Thundeblatt quando venne
tolto il telo che copriva la Macchina.
Thundeblatt arrossì morsicandosi le labbra. ”Penso di sì” rispose,
“ma è in grado per ora di lavorare solo centoventi chili di carne per volta!”
Un lampo malizioso negli occhi di Fuckermann precedette la sua ulteriore obiezione
”Ma lei Thundeblatt sa che la Belzebu’ Corporation
è interessata ad un progetto di impianto capace di lavorare migliaia di
chili di carne suina?” “E i calcoli dei costi li ha fatti?”
Thundeblatt incominciò ad impappinarsi ed a tartagliare mentre si
giustificava. Il colletto gli stringeva il collo grosso come una corda
quello dell’impiccato, la sua faccia divenne rubiconda.
“Ho tentato” farfugliò ”di fare proiezioni calcolando le economie
di scala”. Fuckermann lo vide così agitato e paonazzo e temette un infarto
o un attacco di follia. ”Caro Thundeblatt” lo rassicurò, tirando fuori il
suo tono paterno “Non si preoccupi, mi dia qualche dato in più per
farmi capire se è un progetto redditizio. Lei sa, anch’io ho le mani legate.
Comunque apprezzo molto la sua perseveranza, le assicuro da parte mia
che il suo impegno verrà riconosciuto e premiato”.
“Tenga conto” gli disse Thundeblatt interrompendolo “che la mia macchina,
una volta caricata e programmata elimina completamente
il personale, un uomo solo basta a farla funzionare solo premendo un
tasto”. Fuckermann sorrise mellifluo, si accarezzò i baffetti e gli disse:
“Caro Thundeblatt ripassi da me quando potrà fornirmi calcoli economici
più precisi per valutare la redditività dell’impianto”.
Thundeblatt sentì una morsa di gelo e di disperazione mordergli
il cuore e pallido come un cadavere disse: ”Va bene, tornerò da lei
tra una settimana”. Fuckermann gli strinse la mano con fare indifferente
e si accomiatò da lui sulla soglia sussurrandogli: ”Si faccia coraggio”.
Il povero Thundeblatt rientrò nel suo salotto e si accasciò sulla
poltrona. Si versò un bicchiere di wiskey, poi ne bevve un secondo
e cadde sfinito in un sonno profondo. Russava fragorosamente,
di tanto in tanto sussultava, all’improvviso, farfugliava parole a scatti, come se
stesse litigando con un’altra persona. Se qualcuno fosse rimasto
ad ascoltarlo mentre articolava parole confuse avrebbe forse decifrato
alcune espressioni come “farabutti”, ”salumificio”, ”maledetto”,
parola forse rivolta contro l’ingegnere Fuckermann.
Si svegliò alle quattro del mattino col cerchio di ferro alla testa e
disturbi gastrointestinali. Si lavò la faccia ed andò a guardare
alla finestra il cielo che si schiariva lentamente.
Un altro giorno era cominciato. Thundeblatt si rese conto che non
sarebbe sopravvissuto a quel giorno. La sua ascesi,
la sua fede nella “Qualità Totale” esigeva da lui una decisione estrema e disperata.
Si sarebbe offerto come materia prima per dimostrare la efficacia
della sua macchina “a eliminazione umana” e si sarebbe trasformato
in merce. Telefonò a Fuckermann. Gli rispose la segreteria telefonica.
Con parole laconiche lasciò un messaggio: ”Ingegner Fuckermann,
vi do oggi stesso la dimostrazione dell’eccellenza della mia invenzione.
Il principio della Qualita’ Totale è salvo. Venite a casa mia
a verificare la bonta’ del prodotto. Non mi troverete
personalmente, ma avrete comunque un buon ricordo del sottoscritto.”
Detto fatto andò al computer e programmò il processo per le
dodici e mezza.
Si sbarbò, si lavò e si profumò col dopobarba.
Salì nel carrello tutto nudo e diede il via schiacciando un pulsante.
“Un prodotto perfetto” esclamò Fuckermann nella riunione
dei managers della Belzebù Corporation e fece girare come una trottola
la scatola di carne di maiale. ”Thundeblatt è stato un pioniere.
Lo ricorderemo tutti con molto rimpianto e con grande gratitudine.”
Ed agiunse con un sorriso sornione: ”E non abbiamo speso nulla per il brevetto.”