Morte accidentale di un aristocratico
Adriaen sbadigliò. Il suo lauto pasto innaffiato dal Bordeaux d’annata
aveva fatto effetto togliendogli energia e annebbiandogli il cervello.
Era adagiato in una comoda poltrona imbottita, foderata di velluto
vermiglio. Le pesanti tende alle grandi ed alte finestre della sala di
ricevimento offuscavano la luce meridiana. Sul tavolino, stile Impero,
troneggiava un notevole libro rilegato in pergamena sulla Genealogia
delle nobili casate d’Europa, ed accanto una raccolta preziosa di pipe
antiche, lucidate accuratamente dal maggiordomo.
Il silenzio perfetto venne improvvisamente rotto dai rintocchi della
pendola Luigi XVII. Tre rintocchi gravi e buffi. Era la fine di settembre.
Gli arazzi alle pareti splendevano come fiamme blu e verde smeraldo.
I tappeti persiani che aveva acquistato venti anni prima recandosi
personalmente in Iran suggerivano coi loro complicati disegni dedali
e labirinti dove l’immaginazione si smarrisce in un giardino di delizie.
Una stanchezza dolce e calda simile alla voluttà gli ricordava le fumerie
d’oppio a Sciangai e l’arte delle massaggiatrici tailandesi che avevano
allietato i suoi anni di gioventù. All’improvviso Adriaen si sentì caldo e
sudato, si sentì soffocare dalle pareti e dai pesanti tendaggi.
Si alzò, attraversò il lungo salone. Si fermò un momento davanti ad un
grande specchio, tirò fuori la lingua e se la guardò, si ravviò i capelli
un po’ bianchicci e proseguì verso l’ascensore stile Liberty.
Adriaen era l’ultimo rampollo della casata dei conti Mangiagalli.
Era noto che il capostipite aveva partecipato alla quarta crociata.
Era famiglia di insigni giuristi ed alti prelati. Adriaen ancora assonnato
non fece caso al cartello appeso lì di fianco. Aprì la graziosa porta
decorata di glicini e precipitò dal settimo piano. Sul cartello a fianco
dell’ascensore era infatti scritto a caratteri cubitali:
ASCENSORE GUASTO”. Cosi’ ebbe fine la insigne casata dei Mangiagalli.
aveva fatto effetto togliendogli energia e annebbiandogli il cervello.
Era adagiato in una comoda poltrona imbottita, foderata di velluto
vermiglio. Le pesanti tende alle grandi ed alte finestre della sala di
ricevimento offuscavano la luce meridiana. Sul tavolino, stile Impero,
troneggiava un notevole libro rilegato in pergamena sulla Genealogia
delle nobili casate d’Europa, ed accanto una raccolta preziosa di pipe
antiche, lucidate accuratamente dal maggiordomo.
Il silenzio perfetto venne improvvisamente rotto dai rintocchi della
pendola Luigi XVII. Tre rintocchi gravi e buffi. Era la fine di settembre.
Gli arazzi alle pareti splendevano come fiamme blu e verde smeraldo.
I tappeti persiani che aveva acquistato venti anni prima recandosi
personalmente in Iran suggerivano coi loro complicati disegni dedali
e labirinti dove l’immaginazione si smarrisce in un giardino di delizie.
Una stanchezza dolce e calda simile alla voluttà gli ricordava le fumerie
d’oppio a Sciangai e l’arte delle massaggiatrici tailandesi che avevano
allietato i suoi anni di gioventù. All’improvviso Adriaen si sentì caldo e
sudato, si sentì soffocare dalle pareti e dai pesanti tendaggi.
Si alzò, attraversò il lungo salone. Si fermò un momento davanti ad un
grande specchio, tirò fuori la lingua e se la guardò, si ravviò i capelli
un po’ bianchicci e proseguì verso l’ascensore stile Liberty.
Adriaen era l’ultimo rampollo della casata dei conti Mangiagalli.
Era noto che il capostipite aveva partecipato alla quarta crociata.
Era famiglia di insigni giuristi ed alti prelati. Adriaen ancora assonnato
non fece caso al cartello appeso lì di fianco. Aprì la graziosa porta
decorata di glicini e precipitò dal settimo piano. Sul cartello a fianco
dell’ascensore era infatti scritto a caratteri cubitali:
ASCENSORE GUASTO”. Cosi’ ebbe fine la insigne casata dei Mangiagalli.